Una delle componenti fondamentali di ogni strategia di comunicazione che si rispetti è la definizione del pubblico di riferimento, quello che fino a poco tempo fa tutti chiamavano “target” (parola che adesso non piace quasi a nessuno perché implica che chi sta dall’altra parte sia un bersaglio passivo da colpire, non parte attiva e integrante di una relazione biunivoca).

A prescindere dal nome che gli si attribuisce, identificare con precisione a chi ci si vuole rivolgere è fondamentale per creare una strategia coerente, che comprenda i canali, i messaggi e il tono di voce più adatto per interagire in modo efficace con le persone a cui vogliamo parlare.

Parlare a tutti, infatti, equivale a non parlare a nessuno.

Per questo è necessario fare una scelta e prendere posizione per restringere la forbice. Come fare?

Dopo aver analizzato il mercato in cui operi e i tuoi principali competitor, è il momento di cominciare a lavorare sull’identità della tua azienda. Se il tuo è un brand personale, qui trovi 5 consigli pratici per creare un personal brand efficace, che sono un utile punto di partenza anche per chi ha una realtà più articolata.

Ma torniamo a noi: la tua identità si fonda su un nocciolo duro, che sono i tuoi valori e la tua Value Proposition, e si costruisce nella relazione con il tuo pubblico di riferimento, perché dovrai modulare la comunicazione (e l’offerta) in modo da non essere autoreferenziale e parlare proprio al tuo cliente ideale.

Un metodo molto diffuso per delineare il profilo del tuo cliente ideale è quello delle Buyer Personas.

personas

Cosa sono le Buyer Personas?

Semplificando al massimo, possiamo definire le Buyer Personas come rappresentazioni fittizie dei clienti ideali, costruite basandosi su ricerche di mercato e dati reali dei clienti esistenti.

Quando si creano le Buyer Personas bisogna cercare di includere più informazioni possibile: dati demografici, caratteristiche comportamentali, motivazioni, hobby, obiettivi professionali e di vita.

Cerca di metterti nei panni dei tuoi potenziali clienti:

  • Quali difficoltà devono affrontare?
  • Quali sfide devono superare?
  • Che sogni hanno nel cassetto?
  • Come puoi aiutarli a raggiungere i loro obiettivi?

Serve uno sforzo di immaginazione e immedesimazione notevole, ma più riuscirai ad essere preciso, meglio potrai utilizzare le tue risorse per attirare le persone giuste.

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L’errore che si tende a fare quando si parte con un nuovo business è di guardare le cose solo da un’unica prospettiva: la propria. Cambiare punto di vista, però, aiuta, e focalizzarsi sulle motivazioni dei potenziali clienti piuttosto che sui propri bisogni personali può dare spunti stimolanti e contribuire a risolvere situazioni complesse.

Da qui il successo delle Buyer Personas, utilizzate da decenni in vari campi. L’utilità di questo approccio è indiscussa, ma, a ben guardare, c’è un problema. Le personas, è inevitabile, sono un’approssimazione, un amalgama di caratteristiche che attribuiamo al nostro cliente medio.

Ma, nella realtà, il cliente medio non esiste.

Per quanto possa sembrare paradossale, la questione della media artificiale non è affatto banale.

Per comprenderla più a fondo può essere utile fare un parallelo con un fatto realmente accaduto. Negli anni ‘50, l’Air Force americana ha condotto uno studio su oltre 4.000 piloti per misurarne le dimensioni medie (altezza, peso, dimensioni del torace, eccetera, per un totale di circa 10 parametri).

Al termine della ricerca è stato delineato un profilo che, a livello teorico, avrebbe dovuto rappresentare ogni pilota. In realtà, nessuno dei 4.000 piloti coinvolti rientrava nella media identificata per i vari parametri. Se fosse stato progettato un aereo tenendo conto di quelle caratteristiche ergonomiche medie, dunque, ci sarebbero state conseguenze a dir poco catastrofiche. L’aereo costruito per tutti, sarebbe stato un aereo per nessuno.

Il dilemma dell’approssimazione

Lo studio di cui abbiamo parlato è chiaramente un’estremizzazione, ma il problema è reale.

Ogni volta che si progetta un nuovo prodotto o servizio e ci si chiede chi è il cliente ideale, non si fa altro che procedere per inevitabili approssimazioni.

Il nostro cliente si chiama Mario, ha una moglie, due figli piccoli, un cane e una buona posizione lavorativa. Vive in periferia, ha un’automobile e ama fare sport nel weekend. Il passo successivo è chiedersi cosa piace o non piace a Mario per capire come prende le decisioni di acquisto. Il fatto, però, è che più cerchiamo di rendere Mario umano e realistico, più lo avviciniamo a uno stereotipo. Così facendo, ogni dettaglio finisce per essere meno rappresentativo del pubblico che Mario dovrebbe rappresentare, e la cosa si aggrava ulteriormente se pensiamo che poi quel profilo non verrà aggiornato per anni, quasi fosse scolpito nella pietra.

Come uscire da questa impasse?

 

Un approccio inclusivo: i Personas Spectrum

Abbiamo bisogno di strumenti che ci permettano di reintrodurre il concetto di diversità nei processi di lavoro. Dallo sviluppo del prodotto al design fino al marketing, lo scopo finale dovrebbe essere quello di ridurre le distanze tra persone e prodotti (o tra clienti e aziende).

Come si fa a rimettere al centro i clienti reali aggirando il problema della media artificiale?
Una possibilità, brutale ma efficace, è quella di uccidere le personas (perdonaci Mario) e adottare un modello più inclusivo: i Personas Spectrum.

Invece di definire un singolo profilo, i Personas Spectrum si focalizzano su un range di motivazioni, contesti, abilità e circostanze diverse ma comuni ai potenziali clienti. In questo caso non stiamo creando un personaggio fittizio, ma ci stiamo concentrando su una specifica motivazione e sui modi in cui è condivisa in diversi gruppi di persone. Motivazione che varia in funzione del contesto.

L’idea di base è quella di fare progetti considerando non solo i tratti permanenti dei potenziali clienti (per esempio: una persona senza un braccio dalla nascita), ma anche quelli temporanei (una persona con un braccio rotto, ergo senza un braccio per un tempo x) e quelli legati alle circostanze (come una neomamma con il figlio al collo che, a momenti alterni, può usare solo un braccio).

esempio inclusive design

 

Oltre l’empatia

Questo concetto si utilizza in primis per lo sviluppo di prodotti e servizi, ma si può tranquillamente estendere al campo del design e al marketing. Il senso di tutto ciò (veniamo finalmente al dunque) non è prettamente empatico: per quanto un brand possa avere una vena filantropica marcata, utilizzare i Personas Spectrum serve anche per fare business.

Se, tornando all’esempio di prima, stai progettando un servizio per chi ha un solo braccio, includendo nel tuo pubblico solo chi ne è privo dalla nascita avrai un bacino di potenziali clienti molto più ristretto rispetto a quello che potresti avere considerando anche le circostanze e il contesto. Comincia a suonare un campanello?

I Personas Spectrum non sono modelli perfetti, ma in certi casi possono servire a progettare esperienze più eque e meno esclusive. Usano il potere delle Buyer Personas tradizionali per umanizzare i profili dei clienti ideali, considerando le diversità come un valore aggiunto, non come un difetto da eliminare. Acquisendo dati e informazioni da persone reali abbiamo a disposizione un ampio spettro di bisogni e motivazioni, arrivando a progettare servizi e prodotti meno stereotipati.

Se ti interessa l’argomento, da questo link puoi scaricare gratuitamente un esempio di (bellissimo) Inclusive Design Toolkit

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